Il male non conosce confini né bandiere, come dimostra il quinto romanzo di Stefano Tura, “Il principio del Male”, che sarà presentato il prossimo 20 febbraio all’Italian Bookshop di Londra.
Il crime thriller, pubblicato da Piemme Editori, è arrivato oggi tra gli scaffali delle librerie italiane, a circa un anno dall’ultimo grande successo “Tu sei il prossimo”.
Anche questa volta, l’autore, corrispondente Rai a Londra, sviluppa la storia sul doppio binario Italia-Gran Bretagna, ambientando l’azione nella cittadina di Ipswick, nel Suffolk.
Nel grigiore dell’Inghilterra due giovani italiani, Marco e Anna, cercano un nuovo futuro, lontano dalla loro Bologna, ma si ritroveranno vittime di un incubo che spezzerà per sempre i loro sogni. La loro vicenda misteriosamente andrà a incrociarsi con la riapertura di un caso passato, facendo tornare sotto i riflettori la storia di un killer seriale che sembrava ormai archiviata.
Nel precedente romanzo, ‘Tu sei il prossimo’, l’azione si svolgeva in Italia con protagonisti inglesi. In questo invece assistiamo a un capovolgimento. Perché questa scelta di ambientare l’azione in Gran Bretagna?
Per “Il principio del male” ho deciso di invertire la situazione e ho scelto come location l’Inghilterra per due motivi. Da un lato mi ha permesso di sviluppare di più la figura del nuovo detective Peter McBride, il poliziotto di Scotland Yard dal passato turbolento che risolve crimini con metodi non proprio convenzionali. Dall’altro resta il legame con l’Italia, scegliendo come protagonisti due giovani italiani immigrati alla ricerca di un futuro migliore.
Proprio questo aspetto mi permetterà di far incontrare nuovamente McBride con il collega italiano Alvaro Gerace, l’investigatore di tutti i miei romanzi.
L’intreccio si sviluppa in due parti. Protagonisti della prima sono i due bolognesi Marco e Anna. Quanto c’è nella caratterizzazione di questi personaggi dei migliaia di giovani italiani che si trasferiscono qui a Londra?
Cosí come feci per il precedente romanzo, anche per “Il Principio del Male” mi sono ispirato ad un fatto di cronaca. E’ il caso dei due ragazzi italiani, trasferiti in Kent per trovare lavoro in una pizzeria, che nell’ottobre del 2013 sono stati aggrediti e pestati a sangue. Uno di loro, Gioele Leotta, 19enne di Lecco, è stato ucciso, mentre la testimonianza del suo amico è stata fondamentale per arrestare due cittadini lituani poi condannati all’ergastolo. Essendomi occupato del caso come corrispondente per la Rai ho seguito in prima linea la vicenda, rimanendo colpito dalla drammaticità dei fatti, che hanno non solo stravolto le vite dei due ragazzi, ma anche quelle delle loro famiglie. In loro si incarna l’aspirazione di molti giovani italiani che si trasferiscono, e per il mio romanzo ho colto il lato dark. Ovviamente questi sono casi estremi e non è sempre così.
Ormai vivi a Londra dal 2006 come corrispondente ufficiale della Rai. Come vedi questo fenomeno dell’immigrazione di massa nella capitale inglese di buona parte della gioventù italiana?
Quando sono arrivato dieci anni fa il fenomeno era molto più ridotto. Chi si trasferiva a Londra lo faceva per studio o per lavoro, seguendo un percorso ben definito e un progetto. Da circa tre anni a questa parte, invece, si assiste a ondate di giovani che si trasferiscono quasi per scelta obbligata, vedendo in questa città segnali di speranza che non avvertono più in Italia. Molti però arrivano senza conoscere bene la lingua o senza un progetto, e finiscono a fare lavori faticosi e sottopagati. Vivono facendo turni lunghissimi, svegliandosi prestissimo al mattino e affrontando lunghi viaggi in metropolitana perché gli affitti in centro sono troppo cari, perdendo così di vista il loro obiettivo. Non credo che questo tipo di immigrazione sia positiva, perché spesso molti tornano in Italia portandosi dietro solo anni di frustrazioni. Il mio consiglio è quello di partire, ma sempre con un progetto pianificato.
La seconda parte del libro è dedicata alle investigazioni sull’uccisione di una prostituta, che fa riaprire il caso di un serial killer locale. Tornano così i due detective conosciuti ai suoi lettori: Peter McBride e Alvaro Gerace. Cosa cambia in loro e cosa resta uguale?
Entrambi sono dei disadattati nei loro ambienti, non sono i soliti poliziotti amati dai loro colleghi, sono degli outsider e proprio per questo si capiscono a pelle. Gerace è un vecchio poliziotto sulla cinquantina, che crede fermamente nella sua professione, ma odia essere asservito al potere, per cui non è mai sceso a compromessi e di conseguenza non ha fatto carriera.
Ha problemi relazionali con i suoi superiori e anche con le donne, anche se in questo romanzo qualcosa cambia in lui. L’arrivo di una poliziotta del nucleo investigativo postale, come aiuto nelle indagini, creerà qualche problema ma sarà anche molto importante per lui.
McBride è un detective di Scotland Yard, 40enne nero di terza generazione, cresciuto nella delinquenza di Manchester, facendo parte di gang legate allo spaccio di droga e altri crimini. Coinvolto in un omicidio viene mandato in una comunità di recupero, dove riesce a svincolarsi da questo ambiente e passa dall’altro lato della barricata. Essendo un uomo di strada, BigMac riesce meglio dei suoi colleghi a capire alcuni meccanismi della delinquenza. Resta però un cane sciolto, che non sa gestire bene la sua rabbia e questo ovviamente è motivo di scontro con i suoi colleghi che spesso cercano di fregarlo.
Quanto influisce la tua professione e la lunga esperienza nella cronaca nera per la scelta del genere e nelle tematiche affrontate?
Il fatto di essere un cronista, e per lungo tempo di nera, ha influito al cento per cento sicuramente. Quando è nata la vena creativa per la scrittura non potevo far altro che metterci dentro quella che è la mia vera grande passione e che fa di me quello che sono oggi. Per tutte le mie storie, infatti prendo ispirazione da casi realmente seguiti come giornalista. Nel caso del killer ad esempio mi rifaccio al mostro del Suffolk, Steve Wright che aveva seminato il terrore uccidendo ben cinque prostitute con modalità seriali.
Il titolo scelto per questo romanzo è piuttosto impegnativo. Che cos’è ‘il principio del male’?
Questo titolo ha per me una doppia valenza. Nel romanzo cerco di raccontare il principio del male, da dove ha origine, ma anche di descrivere il male come qualcosa che segue dei principi definiti. I lettori scopriranno leggendo che il male è qualcosa di radicato nell’animo umano e che non ha solo valenza fisica, ma anche psicologica e ideologica, influendo sulla nostra società. Solo alla fine naturalmente tutto verrà svelato e sarà per il lettore un pugno allo stomaco.
Da dove nasce la tua passione per il genere thriller e quali sono le tue letture preferite?
Sono un vero e proprio divoratore di libri. Le mie letture spaziano dai classici gialli di Agatha Christie ai contemporanei anglosassoni e nord europei, per arrivare anche agli autori più splatter.
Come dovrebbe essere secondo te il thriller perfetto?
Secondo me dovrebbe prendere la capacità di tenere alta la tensione, tipica degli autori anglosassoni e la capacità dei romanzieri italiani di caratterizzare ambienti e personaggi nel profondo, mostrando con essi anche le trasformazioni della nostra società.
Durante la presentazione del 20 febbraio all’Italian Bookshop si parlerà del tuo romanzo ma sarà anche possibile vedere il booktrailer. Di cosa si tratta? Come nasce l’idea?
Anche per ‘Il principio del male’ abbiamo sperimentato questa nuova forma di promozione. Il book trailer racconta in un minuto la trama del libro dando un’idea delle sue atmosfere. ‘Tu sei il prossimo’ era un esperimento, quasi fatto in casa, mentre questa volta abbiamo usato professionisti, tecnici freelance della Rai e attori italiani.
Con il precedente abbiamo vinto dei premi, migliore regia fotografia scenografia a un concorso per book trailer online ed è arrivato tra i finalisti di un festival di book trailer e cortometraggi a Cortina. Per questo abbiamo investito maggiori energie e la comunità italiana a Londra ci è venuta incontro, grazie a Carnovale Food, che ci ha prestato come location i suoi capannoni alimentari siamo riusciti a girare un prodotto su cui puntiamo molto.
Che cos’è l’Italia per Stefano Tura e come la descriverebbe a chi non è italiano?
L’Italia la vedo lontana perché sono ormai anni che vivo qui, ma la vedo cambiare continuamente. L’Italia è il paese degli eccessi. Ci sono cose che mi piacciono e altre meno. Non mi piace il falso ottimismo di certe persone, che non permette di far vedere bene i problemi dell’Italia, dando un quadro poco realistico. Nonostante questo la gente in Italia non perde mai la speranza e questo è positivo. C’è sempre tanta voglia di fare e mettersi in gioco. Quello che noto è che gli italiani tengono prima di tutto all’Italia. Anche molti che espatriano considerano l’Italia come la propria radice, qualcosa da portarsi dietro lungo il cammino.